mercoledì 19 novembre 2008

SAN LUCIDO

Incastonato su una rupe calcarea a forma di cuneo, S. Lucido si innalza a strapiombo sul mare per circa 60 metri. Cittadina balneare d'elite con oltre 6.000 abitanti che si può raggiungere da Paola percorrendo 4 chilometri della panoramicissima Nuova SS 18, è nota per aver dato i natali al Cardinale Fabrizio Ruffo di Bagnara (1744-1827), astuto uomo politico e tesoriere della Camera Apostolica. il quale, prima di essere nominato componente del collegio dei porporati di Santa Romana Chiesa da Papa Pio VI, promosse riforme di base che portarono all'abolizione dei residui privilegi feudali.
Le origini di questo grazioso Comune che si estende per circa 2720 ettari, da nord a sud su una superficie semipianeggiante, ad est sullo sfondo delle pittoresche pendici del passo Crocetta e vanta tradizioni storiche tra le più antiche; si perdono nella notte dei tempi.
Non si è certi, ma si ha ragione di credere, confortati anche da recenti ricerche effettuate da studiosi del luogo, tra cui il Barone Raffaele Staffa, che S. Lucido sia la continuazione di Temesa probabilmente denominata anche Clampetia o. Clampeteia, città fondata dai Greci, probabilmente verso l'VIII o VII sec. a.C., dopo la colonizzazione del litorale Ionico.
Come è noto, qualche millennio prima dell'era
cristiana i Greci, da notizie di navigatori e dai racconti dell'Odissea, erano a conoscenza dell'esistenza, nel vicino occidente, di una terra fertile, le cui coste presentavano agevoli insenature per l'attracco delle imbarcazioni. Questa terra era la parte meridionale dell'Italia che loro chiamavano Esperia e, in particolare, si trattava delle coste ioniche che consideravano la terra promessa. Intorno a quell'epoca, un gruppo di emigranti ellenici, seguiti da ondate successive, incalzati dalla depressione economica e dalla crisi agricola che attanagliavano le loro città - polis, guidati dai perseguitati politici delle oligarchie, si imbarcarono a Corcira, l'odierna Corfù, o altrove, e puntarono le loro prue verso le spiagge ioniche. I protagonisti di questo massiccio esodo erano sorretti dalla speranza di trovare nei nuovi posti terre grasse e ricche d'acque, boschi e pascoli ridenti. E in ciò non furono delusi quelli che, vincendo i marosi, riuscirono a stabilirsi lungo le fasce costiere della Puglia e della Calabria, dove attualmente si trovano Metaponto, Taranto, Crotone, Sibari, Locri ecc..
Da questo primitivo nucleo di pionieri si scissero, in seguito, altri colonizzatori che, attraversando i valichi dell'Appennino paolano, si. affacciarono sul Tirreno, dove fondarono sottocolonie che, mescolandosi agli sparuti borghi degli oriundi, diedero origine a città come Temesa (Lampetia o Clampetia), Poseidone verso nord (Pestum), mentre altri nuclei, direttisi probabilmente in Sicilia (Trinacria} o sbarcati direttamente nell'isola fondarono le città siciliote di Nasso, Siracusa, Leontini (Lentini), Zancle (Messina) ecc.. Il resto, poi, è tutta storia con le sue luci e ombre. Stando a questa premessa, S. Lucido trarrebbe origine da una delle più importanti città italiote che, divenute potenti e ricche, furono chiamate, in seguito, in concorrenza con la Madre Patria, città della Magna Graecia.
Le alterne vicende storiche e il naturale logorio del potere portarono gli aborigeni, i Bruttii, a ribellarsi contro i dominatori verso il 356 a.C. per affrancarsi dalla loro schiavitù e, più tardi, per essere ridotti a colonia romana verso il 194 a.C. Temesa non fu esente da questi cambiamenti di guardia al vertice del potere, ma le sue attività commerciali e artigianali non subirono alcuno arresto, anzi rimasero sempre fiorenti e all'avanguardia, se si pensa, tra l'altro, che oltre ad avere un importante porto nei pressi dell'attuale contrada « Dragoni », dove tuttora sono visibili due grossi scogli interrati a circa 150 mt. dalla battigia {il mare all'epoca arrivava oltre quei due scogli), era attraversata, al tempo dei Romani, dalla congiungente delle due importanti arterie viarie: la Traianea con la Popilia. L 'antica Temesa, che qualcuno ha identificato con Clampetia o Clampeteia e persino Lampetia, doveva sorgere nei pressi cioè dall'attuale località “ Palazzi », dove esistono molti resti di mura romane, tra cui uno su basamento greco e diversissimi frammenti di oggetti di terracotta, nonché tasselli di mosaico e pezzi di loculi interrati. È indubbio che la città in questione dovesse essere ricca e rinomata e che nella zona dovessero esistere fornaci per la cottura dell'argilla e abili artigiani che modellavano, tra l'altro, embrici, orci e oggetti vari ornamentali e per uso domestico.
Una bella mattina di sole mi recai in località Palazzi, guidato da alcuni amici del posto e per noi fu una piacevole sorpresa potere ammirare da vicino quegli avanzi di mura romane su fondazioni greche del IV - III sec. a.C. Abbiamo scattato qualche foto tra le rovine e i ruderi dove probabilmente, secondo la leggenda, era sorto il tempio dedicato a Polite, l'eroe troiano, compagno di Ulisse ucciso a tradimento da alcuni barbari. Abbiamo raccolto qualche tassello di mosaico e qualche pezzo di terracotta, resti di qualche loculo interrato e di qualche anforetta. La zona è disseminata di resti antichi. Si dice anche che siano stati trovati altri oggetti come statuine e resti di probabile valore archeologico. Ma, a quanto ci è dato sapere, non sono stati mai eseguiti veri e propri scavi. La Soprintendenza alle Belle Arti e alle Antichità per la Calabria, non si sa per qual motivo, non ha ritenuto opportuno di effettuarne. Abbiamo raccolto molte voci circa rinvenimenti di resti umani di epoca antica e di monete argentee di Servio Tullio.
La campagna circostante è uno spettacolo che infonde un senso di mistico e deferente silenzio. Alcuni alberi sparsi, qualche casa rustica e resti di mura romane. Ad uno di questi muri era legata con una corda una pecora che pascolava nell'area adiacente.
Di Temessa o Clampeteia o Clampetia parlano gli scrittori antichi: Strabone, Plinio, Livio, Mela, Polibio, Licofrone e altri. Secondo i calcoli della tavola Peutingeriana (carta itineraria militare romana in pergamena dell'epoca imperiale), distava da Cerillis (Cirella) 40 miglia (un miglio romano corrisponde a mt. 1474) circa 59 chilometri, cioè la distanza che, pressappoco, copre oggi il percorso Cirella - S. Lucido (km. 58), tenendo presente che la contrada Palazzi dove sorgeva l'antica città dista circa 2 chilo- metri dall'attuale centro abitato. Con l'avvento del Cristianesimo l'antica città pare che sia stata una delle prime sedi, assieme a S. Marco Argentano, dove sembra si sia recato l'Apostolo S. Pietro, seguito successivamente da S. Matteo. Gli iniziati della nuova fede venivano chiamati « Fossores » e il nome italianizzato è stato attribuito, in seguito, alla contrada « Fosse » di Paola nei pressi di S. Lucido. L 'antica e gloriosa città di Temesa, a seguito di invasioni barbariche e incursioni piratesche, nonché un grave cataclisma (il famoso terremoto dell'anno 365 d.C.), fu distrutta quasi interamente. I superstiti si agglomerarono nella contrada S. Caterina, dove fino a poco tempo fa, sorgeva una fiorente industria del legno (mobili ad intarsio e lavori di falegnameria varia) e diedero origine, pare, all'attuale centro abitato.
Storia di San Lucido
Questo primitivo nucleo di abitanti si ingrossò verso il sec. VIII, quando i monaci Basiliani, scacciati dalla Sicilia, si trasferirono in Calabria e, nei pressi dell'antica Temesa, alle falde del monte Sant' Angelo, fondarono il suggestivo convento di S. Maria di Monte Persano (all'atto le infrastrutture sono in stato di totale abbandono) che tuttora è meta di devoto pellegrinaggio. Le terre adiacenti al convento furono coltivate e molte famiglie di agricoltori si stabilirono nei possedimenti della comunità religiosa, ingrandendo il Cenobio di S. Maria di Monte Persano. Dal nome di un monaco di quest'ordine religioso che mori in fama di santità, in seguito il paese sottostante il convento fu chiamato S. Lucido. Superato il periodo oscurantistico dell'anno mille che, secondo una leggenda assai diffusa all'epoca, avrebbe dovuto segnare la fine del mondo e, riprese le scorrerie barbariche attraverso l'Italia nell'XI sec., la cittadina fu sotto il dominio dei Normanni, guidati da Roberto il Guiscardo che ottenne dal Papa Vittore II l'elevazione a Metropolita di S. Pietro Vescovo di Cosenza ( 1057 ), il quale fu eletto anche Signore di S. Lucido. Il titolo rimase al suo successore. Vescovo Arnulfo che, nominato conte, per difendere il villaggio dalla scorrerie dei Saraceni, fece costruire il castello munendolo di poderose opere di difesa e di un alto fossato. Completata la gigantesca opera, il 28 agosto del 1093, il Vescovo Arnulfo che in seguito prese parte alla prima Crociata, emanò un pubblico bando per la fortezza a cui impose il nome di « Nicetum » (Rocca Nicetina) dal greco « Nik » che significa vittoriosa. In esso, tra l'altro, si legge: « Chiunque tu sia, purche uomo libero, non temere qui il rigore della legge. Va dove vuoi, osserva le cose che vuoi, esci quando vuoi. Questi luoghi sono aperti tanto agli estranei quanto al padrone ». L 'editto continua ancora nel mettere in evidenza l'amicizia e ammonendo che chi « infrangerà le doverose leggi della civiltà » sarà punito severamente. I diritti sul feudo di S. Lucido furono riconfermati al Vescovo di Cosenza (era finita in Italia la dinastia Normanna} durante il periodo di Federico II (1194-1250) figlio di Enrico IV di Svevia e di Costanza di Sicilia, il quale fu Re di Napoli e di Sicilia nel 1198, sotto la tutela del Papa Innocenzo III. Seguirono le lotte tra papato e impero per la supremazia del potere. In questo periodo, nella storia di S. Lucido si affacciò Pietro Ruffo, Conte di Catanzaro, che era stato creato viceré di Calabria e Sicilia e il di lui nipote Giordano Ruffo. Con il trionfo del papato, dopo la sconfitta di Benevento (1266) di Manfredi, scomparve la casa Sveva e si profilò all'orizzonte storico la dominazione Angioina. Il Papa Innocenzo III nominò Vescovo di Cosenza Bartolomeo Pignatelli, già Vescovo di Amalfi, il quale rientrò in possesso della terra di S. Lucido che fu tolta al successore Vescovo Francesco Marta da Roberto d' Angiò per offrirla alla Casa Ruffo. Ciò fu causa di gravi controversie e, nonostante il vescovo fosse stato compensato con altre terre, le discordie tra Cosentini e Sallucidani non cessarono. Più tardi, a S. Lucido scoppiò una grave epidemia che fece molte vittime. Si pensò, superstiziosamente, che fosse una conseguenza della scomunica del Vescovo.
La politica della comunità di S. Lucido, pur movendosi in un contesto feudale, non ebbe mai un vero e proprio governo feudale, perché il Vescovo di Cosenza Arnulfo, nel ricevere il possedimento da Ruggiero d' Altavilla, non intese mai farne un feudo. Nell'editto emanato, infatti, egli si era proclamato custode della Rocca « Nicetum » e non aveva fatto distinzione tra ricchi e poveri, perché la Rocca era stata costruita con il denaro del popolo, anche se, quando successivamente la Rocca prese il nome di Castello, fosse stata adibita ad abitazione. Si susseguirono molte vicende storiche che videro in lotta i Sanlucidani contro la chiesa cosentina e l'intervento di Ferdinando, Re d'Aragona (1379-1416), che soccorse la contea per liberarla dalla Curia. Poi si verificarono le scorrerie dei Turchi che resero necessaria la fortificazione del Castello e la costruzione della « Bombarda », a cui si accedeva tramite un ponte. In seguito, entrò in possesso del territorio di S. Lucido La famiglia Carafa. Seguirono le incursioni dei corsari e dei Saraceni e, quando sali al potere Carlo VIII (1409-1470), fu costruito il Fortino. Quando S. Francesco di Paola ebbe l'approvazione al Suo ordine (1506), ebbe tra i suoi compagni Frate Giovanni da S. Lucido, con il quale attraversò lo stretto di Messina sul proprio mantello. Era l'epoca in cui spadroneggiava il malgoverno spagnolo. Nel 1745, l'attuale Parrocchia era la Chiesa del Castello, di cui fu primo parroco don Nicola Buglio. Scongiurato il pericolo dei pirati che infestavano i mari, nel XVIII sec., con l'avvento al trono di Spagna di Carlo III (1716-1788), già re di Napoli dal 1735 al 1759, S. Lucido si dedicò liberamente al commercio ed ebbe una imponente flotta mercantile che contava circa 15 bastimenti. In breve, divenne il mercato di convergenza dell'entroterra e della zona silana. Moltissime bestie da soma, attraversando i. sentieri montani, trasportavano castagne. fichi e legnami che i bastimenti riversavano sui mercati della Sicilia, Malta, Corsica, Genova e Napoli importando, a loro volta, formaggi. cereali. bovini e merci varie. Poi il Regno di Napoli passò nel 1759 a Ferdinando IV di Borbone (1751-1825), successo al padre Carlo III e in questo periodo emerse la figura del Cardinale Fabrizio Ruffo, abile diplomatico e studioso che seppe accaparrarsi i favori di influentissime personalità. Egli chiese e ottenne dal Re di Napoli molti favori, e, in seguito, fu creato Cardinale dal Papa Pio VI dal quale fu nominato anche chierico di camera e quindi Tesoriere Generale della Camera Apostolica. Poi si trasferì a Napoli alla corte Borbonica. Durante i moti repubblicani del 1799, segui la corte a Palermo e da qui si portò in Calabria dove, a Bagnara, organizzò l'esercito della Santa Fede, con il quale, dopo avere attraversato quasi tutto il meridione, giunse a Napoli e patteggiò una onorevole resa che, non essendo stata rispettata dai Borboni e da Nelson, lo indispettì al punto da farlo ritirare dalla vita politica per dedicarsi interamente ai suoi studi preferiti: agricoltura ed economia. Per questi servigi resi al re il Cardinale aveva ottenuto in dono il feudo di S. Lucido. A seguito della promulgazione delle leggi napoleoniche, secondo cui tutti i beni della Chiesa diventavano possesso dello Stato, il feudo fu venduto al Principe di Fondi.
Curiosità
S. Lucido che in quest'ultimi anni ha subito un vasto sviluppo urbanistico con particolare riferimento alle infrastrutture di interesse turistico che gravitano, principalmente, sulla fascia marina favorita dal , suo lungomare e da una spiaggia estesa ed accogliente, ha raggiunto circa 20.000 presenze nel periodo balneare. Nell'acqua cristallina antistante i tersi arenili, quasi in direzione del Castello, è raggruppata una serie di scogli che rendono più invitanti i tuffi nel mare e le temporanee soste sopra di essi, per riprendere fiato e rituffarsi con maggiore voglia.
Ce n'è uno, tra essi, un po' più grosso, di forma concava, che la gente del luogo chiama la pietra di Cilla ed è noto per la misteriosa e tragica leggenda a cui è legato. Narra questa leggenda che proprio su questo scoglio Cilla, una avvenente ragazza, figlia di pescatori, soleva attendere per intere ore e nottate l'arrivo dell'amatissimo sposo, Tuturo, che, da semplice pescatore, si era elevato al rango di comandante di bastimento all'epoca in cui fiori il commercio marittimo a S. Lucido. Ogni qualvolta, secondo calcoli approssimati, ma dettati dal cuore e dalla speranza, doveva rientrare il bastimento carico di merci, Cilla, con il cuore trepidante e con gli oscuri presentimenti che facevano ressa nel suo animo, aspettava nel buio della notte, rischiarando il porto con la luce di un lampione, l'arrivo del diletto sposo proveniente da lidi lontani. Ad ogni arrivo erano gran festa e immensa felicità. Ad ogni partenza amarezza e sospiri per il lungo periodo di separazione. Il passare degli anni non scalfi questi delicati sentimenti che univano i due sposi innamorati. Poi un brutto giorno Tuturo che in uno dei suoi primi viaggi aveva condotto con se Cilla a Trapani, facendo un'ottima tra versata e un tardivo viaggio di nozze, non tornò più e il lamento della disperata Cilla che invano stette ad attenderlo per notti e notti si confuse con il rumore dei frangenti, la cui eco è tuttora risentita sullo scoglio quando i flutti, che la travolsero qualche tempo dopo nel pietoso tentativo di unirla al corpo dell'amato sposo, si accavallano nel mare in tempesta.
A S. Lucido era fiorente, fino ad alcuni anni addietro, l'industria dei fichi con grossa esportazione all'estero. Circa cinque ditte confezionavano cestini di lusso di fichi bianchi e fichi imbottiti. Si produceva abbondante quantità di olio e dalla estrazione della sansa, di cui esisteva un attrezzatissimo frantoio, si estraeva la trielina. Era in grande sviluppo la lavorazione del legno negli stabilimenti della marina, dove esistevano le famose ghiacciaie che servivano per la formazione dei blocchi di ghiaccio usati, a loro volta, per la preparazione dei (coni) gelati che si ottenevano facendo girare a mano il pozzetto di rame con gli ingredienti in un piccolo tino, sino alla solidificazione (erano altri tempi ben lontani dell'attuale società dei consumi!). Esisteva anche l'imbottigliamento della birra. Attualmente si producono olio, vino e fichi, ma in minore quantità e sono totalmente scomparsi i mulini ad acqua che rappresentavano un vanto per la zona. L 'attività artigianale, oggigiorno, è tenuta viva soltanto da manufatturati di terracotta, in Via Sopportico, nel centro storico della città. Si tratta di statuette, bomboniere e soprammobili che sono stati esposti in fiere e mostre campionarie nazionali. Oltre alla sporadica iniziativa agricola che si mantiene ancora nella campagna, si sta avviando verso un decisivo sviluppo l'attività ittica di cui è rinomata la pesca delle alici e delle sarde con le lampare. I contadini confezionano tuttora, nel periodo invernale, caratteristiche ceste di giunco e canna spaccata, comunemente chiamate « Sporte ». Una volta questi cestoni servivano per il trasporto della biancheria da lavare al fiume « S. Cono » nei pressi del fortino e per il trasporto del corredo personale della promessa sposa nell'abitazione del partner. Decine di donne a coppie sfilavano in processione con i cestoni sul capo per esibire il corredo della sposa.
Di particolare interesse risultano ancora le cave comunali di granito, roccia cristallina di colore biancastro o rossastro, utilizzate per sculture e monumenti. Il monumento a Cetraro al Senatore Mario Militerni e tutta la facciata del Duomo di S. Marco Argentano sono state ricavate da queste cave che si trovano in località « Acqualeone ». Anche il centro storico di S. Lucido presenta molte infrastrutture di roccia granitica. A tal proposito, ricordiamo che il suddetto centro urbano, per interessamento dell' Amministrazione comunale, sarà illuminato con lampioni di stile antico montati su bracci di ferro come ai bei tempi andati, con la differenza che allora si provvedeva all'illuminazione con i lampioni a petrolio. Il centro storico è caratteristico, e vale la pena di visitarlo, per le cosiddette « Viareddhri » {vie strette e anguste) sormontate da volte che le congiungono.
Manifestazioni laiche e feste religiose
Nel corso dell'anno hanno luogo a S. Lucido parecchie manifestazioni a carattere culturale, folkloristico e religiose. Le prime due sono appannaggio dell'attività Pro-Loco presieduta dal Prof. Giovanni Ciorlia collaborato dal comitato direttivo, tra cui il Prof. Silvano De Rango. Tra le iniziative della Pro- Loco, segnaliamo il « Lucival », manifestazione folkloristica con concorsi di pittura, musica leggera e la Sagra di S. Maria di Monte Persano. Il Lucival si svolge nel mese di agosto e si conclude con la festività religiosa di S. Maria di Monte Persano e la notte di Veglia all'Eremo, tra il sabato e la prima domenica di settembre, all'insegna di canti propizia tori e tarantelle attorno al falò. Non mancano i consueti giochi pirotecnici con girandole ai pali,suoni di zampogne e organetti.
La mattinata di domenica, dopo la messa e la processione tra i monti a cui lo scorso 1975, per la prima volta, partecipò, rimanendone piacevolmente colpito, Sua E. l'Arcivescovo di Cosenza Mons. Enea Selis, si conclude con un picnic all'aperto sotto l'ombra dei grossi alberi di noci, ontani e castagni. I pellegrini e gli intervenuti che possono raggiungere l' antico convento dei monaci basiliani dalla SS 107 (circa 500 mt.) e da s. Lucido deviando dalla vecchia strada per Falconara Albanese (circa 6 km.), si dissetano alle vive e fresche sorgenti dei monti, le cui acque sono considerate miracolose.
Da ricordare anche il minicarnevale dei bambini, organizzato in collaborazione con la scuola elementare e con il Circolo Nicetum, nonché le originali iniziative dell'attivissimo gruppo della « Giovane Concordia » con l'interessamento di Piero Berlingieri e Ivan Calomino.
Tra le feste religiose vanno menzionate l'importante processione del Venerdì Santo con sfilata dei confratelli vestiti con il camice bianco e la « mozzetta » nera (specie di mantellina in segno di lutto), fiaccole e banda musicale, nonché la festa patronale di s. Giovanni Battista che, assurge a solennità civile appunto il 24 giugno con grosse luminarie, concerti bandistici e spettacoli pirotecnici nella zona marina.
Concludiamo la rassegna, accennando alle tre fiere più importanti di bestiame, merci varie e precisa- mente quella di S. Giovanni (22-23 e 24 giugno), quella del Rosario (la prima domenica di ottobre) e l'ultima, più importante di tutte, quella di S. Leonardo (4 - 5 e 6 novembre ).
Piatti caratteristici e specialità
Tra i piatti rinomati occupano in graduatoria il primo posto ex a equo la pasta « aglia, uoglio e pipi » che si prepara, come tutti sapranno, con un soffritto di aglio, peperoncini e pane grattuggiato da versarsi ( tre, quattro cucchiai per piatto) nella pasta cotta e la pasta con le alici.
Quest'ultima si prepara con la salsa di pomodoro fresco, fatto cuocere assieme alle alici fresche pescate nel mare di s. Lucido, prive di lische e saltate in padella con basilico, cipolla tritata e peperoncino. La salsa così ottenuta si versa a piacere sulla pasta (vermicellini cotti al dente) e il piatto viene servito caldo con abbondante formaggio pecorino locale grattuggiato. Per entrambi i piatti il vino da servire è il. rosso o il fragola, entrambi prodotti nella zona. Costituiscono una prelibata ricercatezza per il turista le ricottelle confezionate in piccole fiscelle di giunco e le ricotte.
Una volta si preparava a S. Lucido « 'a pitta 'ccu scaravagli » (pane di farina di granoturco imbottito di « frisuraglie » (ciccioli) cosparsa di origano, aglio, olio, peperoncino e sale e infornata in tegame di terracotta). Attualmente, questa delikatesse è stata riproposta ai turisti in una nuova edizione riveduta e corretta dalla Pro-Loco, in occasione della Sagra di S. Maria di Monte Persano. Consiste in una pagnottella ( circa 200 gr. ) di farina di granoturco cotta nei forni a legna e adagiata sopra una foglia di fico e successivamente imbottita con alici salate o fettine di capicollo prodotto dai contadini del luogo, abbastanza bravi nell'insaccare salsicce e soppressate affumicate, nonché nella confezione della squisita pancetta.
Architettura
A S. Lucido, dove in occasione di casuali sterramenti effettuati da contadini del luogo sono affiorati alla luce anforette, lastroni sepolcrali in terracotta, frammenti di grossi recipienti e reperti archeologici vari, si possono visitare la contrada Palazzi e l'Eremo di S. Maria di Monte Persano di cui si è parlato avanti. Un gioiello di rara architettura del XV sec. con rimaneggiamenti del XVIII sec. è rappresentato dalla Chiesa dell'Annunziata o di S. Antonio. In essa si possono ammirare il Portale, la Facciata .e la Torre campanaria all'esterno. All'interno l'altare Maggiore e i due altari Minori, rispettivamente dell'Immacolata e di S. Pasquale in marmo di stile Barocco. Importanti la statua lignea di S. Pasquale e le Cripte. Altre chiese di rilievo sono: la Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista, costruzione del XVIII sec. e la Chiesa del SS. Rosario di stile neoclassico. Di grande interesse artistico e storico sono, come si ricorderà, il Castello feudale e il Fortino di S. Cono (dal fiume omonimo) o di S. Croce, costruito a scopo difensivo nel XVI sec. dal Vicerè Pietro di Toledo. Il fortino che dista dal Castello circa 500 mt. pare fosse collegato al Maniero costruito alla fine XI sec. mediante un passaggio sotterraneo, di cui è stato scoperto, a come sembra, qualche accesso.
Ricordare l'assunto delle vicende storiche e degli eventi socio-economico-religiosi di maggior rilievo di questo nobile capoluogo che vanta tradizioni millenarie è come aver vissuto, istante per istante, i movimentati fotogrammi che hanno fissato l'immagine, più o meno incompleta, della complessa evoluzione di questa città attraverso una sequenza cinematografica. Molte cose sono state accennate, poche dette, per la preoccupazione di poter stancare o di non saperle rappresentare per come si dovrebbe. Tanta dignità e nobiltà traspaiono dalla storia di questo incantevole Comune di S. Lucido che si ha timore di parlarne e tanta riverenziale deferenza ispira la sua origine che si rimane piacevolmente colpiti, al punto da voler più spesso visitare questi luoghi, che sentirne parlare.
Qui si conclude il nostro itinerario attraverso una fetta dell'incantevole territorio calabrese povero economicamente, come del resto tutta la regione, ma ricco di tesori naturali e culturali di cui ancora molti restano da scoprire.




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